Conferenza sostenuta dal prof. Simon Pierce il 12 settembre 2010

Il 10-11-12 settembre 2010 si è svolta la manifestazione Varese Orchidea ’10 presso il chiostro di Voltorre, frazione di Gavirate. Domenica 11 il prof. Simon Pierce ha presentato gli sviluppi del progetto “La conservazione delle Orchidee spontanee della Regione Lombardia” presentatoci l’anno precedente alla mostra di Varese a villa Recalcati.

Il professore ribadisce che conservazione significa anche raccolta dei semi, per poter riprodurre le orchidee in vitro per poterle ricollocare in natura; questo è lo scopo principale del suo progetto.

Il parco del monte Barro è il luogo dove è nato questo progetto, in questo parco sono presenti 22 specie di orchidee.

È’ l’unico posto dove ci sono 10 piante di Ophrys benacensis, una popolazione di una ventina di piante si trova invece in un lago più in la. A oggi questa pianta è stata riprodotta, è fiorita in serra e ricollocata in natura. Nel 2006 la popolazione era troppo piccola e in via di estinzione: le poche piante presenti, essendo parenti stretti, avevano problemi nella riproduzione.

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Tutti i semi prodotti fino a quel momento erano senza embrione. Il lavoro del prof. Pierce è stato di raccogliere il polline di un’altra popolazione ed utilizzarlo per impollinare le dieci Oprhys del parco. Questo metodo ha funzionato, infatti, dopo un mese e mezzo circa dall’impollinazione sono state ottenute bacche con semi aventi l’embrione. I frutti sono pronti quando si aprono delle fenditure lungo tutta la bacca. I semi così ottenuti sono stati raccolti e portati in laboratorio per poter riprodurre le piante in vitro. I semi (polvere) vanno puliti con una soluzione diluita di candeggina per sterilizzarli. Da questo punto in poi si lavora sempre in cappa sterile, altrimenti il substrato in cui si seminano le orchidee si riempie di muffe e funghi che causano la morte delle nuove piantine. I semi

vengono controllati periodicamente al microscopio, per vedere quali germinano. Appena germinati, si hanno dei protocorni con dei rizoidi: cioè una singola cellula. Lo scopo di questa fase è ottenere la germinazione di tutti i semi, per questo motivo si provano più metodi di coltura (principalmente modificando i componenti del substrato).

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Un esempio di germinazione migliorata si ha con la Serapias vomeracea, che si trova sempre nel parco del monte Barro. Con l’aggiunta dell’ormone Zeatin si ottiene il 30% di germinazione dei semi. Se invece si aggiunge un brodo di mais appena germinato (al posto dell’ormone) si ha il 50% di germinazione dei semi di questa orchidea; questo è dovuto al fatto che il mais appena germinato contiene una quantità elevata di ormone.

Tornando al caso dell’Ophrys benacensis non si ha avuto questo problema, con la semina sono germinati quasi tutti i semi. Dopo un mese dalla germinazione si ha la prima foglia, dopo un anno si ha una pianta piccolissima. Quando le piantule sono abbastanza grandi vengono spostate nei tubi (contenenti sempre il substrato) singolarmente per dare più spazio. Ricordiamo che tutto questo deve avvenire sempre in condizioni di sterilità e per semplificare le operazioni si utilizzano le camere di crescita automatiche.

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Dopo due anni, le Ophrys benacensis coltivate nei tubi, stanno per fare il tubero. Quando le orchidee in vitro producono il tubero possono essere spostare nel terreno vero e proprio senza causare la loro moria. I tuberi sono adatti a sopravvivere lunghi periodi senza acqua (ad esempio l’estate), proprio per questo motivo sono piante che hanno bisogno del periodo di riposo per vivere.

Nel caso delle Serapias vomeracea si hanno piante coltivate in terreno da tre anni,; invece le Ophrys benacensis sono coltivate nel terreno da due anni e a maggio alchene hanno perfino fiorito. Questi fiori sono stati forzati e anticipati

dalla coltivazione in serra, per questo motivo la forma del fiore è leggermente diversa da quella dei fiori che crescono selvatici in natura. La cosa più importante, non è ottenere la fioritura di queste orchidee in serra, ma di ricollocarla in natura in modo da scongiurare la sua estinzione.

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Sono state piantate delle Ophrys benacensis nel parco, in una zona recintata, visto che la gente tende a raccogliere i suoi fiori causandone l’impossibilità della riproduzione. Fatto assurdo, viene raccolto praticamente solo questo fiore e le altre orchidee molto più numerose sono praticamente ignorate. Sono stati collocati tuberi in primavera, all’inizio del periodo di riposo: quindi i tuberi sono in piena energia. Altri tuberi si O. banacensis sono stati collocati in autunno, alla fine del periodo di riposo: i tuberi sonno avvizziti dopo aver consumato le riserve di energie per superare il periodo di riposo; con l’arrivo dell’autunno queste piante sono pronte per vegetare nuovamente. Ora, nella zona recintata ci sono 63 piante di questa orchidea in grado di riprodursi.

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Il progetto dell’Ophrys benacensis è ristretto a questa orchidea, in realtà esiste un progetto più ampio: progetto ORCHIS (conservazione e ripopolamento di orchidee autoctone prealpine). Questo progetto viene attuato principalmente nel parco delle Orobie Bergamasche, oltre che nel parco del monte Barro.

Le orchidee crescono nei prati, boschi, boschi di conifere e paludi. La Goodyera repens cresce principalmente nei boschi, è un’orchidea abbastanza rara e si è cercato un modo per riprodurla. Per poter fare germinare i suoi semi bisogna tenerli in frigo per quattro mesi. Dopo un anno dalla semina in vitro germinano. Ora sono tutti germinati e si aspetta la loro crescita per poter andare avanti con il progetto, fino alla collocazione delle piante nel loro ambiente naturale.

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Il Cypripedium calceolus, come è stato notato nella conferenza dell’anno precedente, è una pianta che produce raramente i semi in modo naturale. Ha un profumo inconfondibile che attira api e mosche. Manualmente sono state

impollinate le piante della più grande popolazione trovata nel parco (formata da 18 esemplari). Il mese successivo, andando a controllare lo stadio dei frutti, le piante erano state tutte mangiate o calpestate dai caprioli; per fortuna sono sopravvissute due piante che portavano il frutto. Per poter seminare in vitro questa orchidea, bisogna utilizzare la bacca fresca, altrimenti, se i semi sono già in fase di dormienza è praticamente impossibile farli germinare. I semi in dormienza sono neri, al contrario, quelli freschi ed utilizzabili sono di color bianco. Per i due frutti diversi sono stati utilizzati più substrati diversi, in modo da capire qual è il substrato migliore da utilizzare per la germinazione di questa pianta.

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Dopo un anno si ottengono delle piante di qualche millimetro; ormai però il passo più difficile è già stato superato, cioè la germinazione. Bisogna stare attenti che la temperatura esterna non superi i 25°C, altrimenti le piante muoiono.

La Cephalanthera rubra è una specie da bosco ed è stata impollinata manualmente. Purtroppo, anche in questo caso, quasi tutte le piante sono state distrutte a causa del fuoco appiccato volontariamente o calpestate dai trattori. Per fortuna, nella prateria accanto, le piante non sono state danneggiate e si sono salvate alcune bacche. Il problema principale è che solo una delle piante impollinate manualmente ha dato origine al frutto, questo vuol dire che è una specie di orchidea che ha grossi problemi a riprodursi, causando la sua scomparsa. Le bacche presentano delle macchie scure dovute a degli afidi. Ora si procede con la semina dei semi.

L’Epipactis palustris è conoscita come una delle orchidee più difficili da riprodurre, ma sono stati ottenuti un sacco di semi senza l’aiuto dell’uomo. La Dactylorhyza traunsteineri è stata riprodotta, sono una decina di piante, che ora chescono giù nei vasi di terreno classico.

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Nel parco si trovano anche la Platanthera bifolia ( di solito si trova nei boschi o nelle praterie a circa 2000 m), la Traunsteinera globosa, la Nigritella

rhellicani (più facile da riprodurre) e la Nigritella rubra (rarissima e non fa i semi nel modo classico).

Nel parco convivono due specie di Gymnadenia: la Gymnadenia conopsea (più grande e precoce) e la Gymnadenia odoratissima. Queste due piante, per quanto siano simili, vengono impollinate da due tipi di insetti differenti. Per poter seminare in vitro le orchidee, in modo corretto, è necessario conoscere lo stato di maturazione dei semi; molto importante, quindi, è vedere la pianta in fiore e segnalarla. Ad esempio, le due Gymnadenia, viste in fiore, si riconoscono in modo semplice; al contrario, quando hanno le bacche, è molto difficile distinguerle e hanno anche una maturazione differente, visto che una è più precoce dell’altra, che non è riconoscibile. Non è stato molto semplice far germinare la Gymnadenia conopsea, anche se dicono che sia molto facile.

Si può dire che il progetto è fallito nel caso della Coeloglossus viride: anche se i semi sono germinati, quasi tutte le piante sono morte per l’elevata temperatura della bassa quota; è un’orchidea che cresce nei luoghi freddi e quindi bisogna coltivarla a maggiori altitudini. Questa sconfitta ci ha insegnato una cosa nuova che servirà a seminare nuovamente questa orchidea portando a termine il progetto in modo positivo.

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La Pseudorchis albida si autoimpollina e produce molti semi, a causa dell’autoimpollinazione non è molto semplice trovare piante fiorite in modo da sapere esattamente il periodo di maturazione dei semi. Per poterla far germinare nel modo ottimale, nel substrato, si aggiunge l’ormone 6-benzylaminopurine. Anche in questo caso sono stati testati vari substrati, ed è stato scelto quello che dava una maggior percentuale di germinazione dei semi.

San Simone, alta Val Brembana, è un luogo ottimo per le orchidee, dove ne crescono molte su di una collinetta. Nell’ultimo anno hanno lavorato le ruspe: proprio in quel punto hanno costruito una nuova pista da sci. Per fortuna sono rimasti alcune parti di vegetazione, quindi alcune orchidee si sono salvate. Il prof Pierce è intervenuto con degli alunni per spostare 180 piante in altre zone adatte del parco. Anche se è stata un’esperienza poco piacevole, è stato l’intervento più grande dell’anno portato a buon fine.

Tutto questo serva a salvaguardare le orchidee autoctone italiane, piccoli gioielli poco conosciuti, che non hanno niente di meno rispetto alle loro sorelle tropicali.

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