Franco Pupulin

Oggi ci occupiamo di un grande orchidofilo forse non molto conosciuto ai più, tuttavia incredibilmente attivo nonché parte molto attiva dell’orchidofilia italiana fra gli anni Ottanta e Novanta (avete conosciuto l’Am.O.? Avete letto il suo leggendario bollettino? No? Mi sa che ce ne dovremo proprio occupare…). Stiamo parlando di Franco Pupulin, anzi del professor Pupulin.

In origine le domande di seguito avrebbero dovuto essere il nucleo di un discorso da ampliare ulteriormente. Tuttavia, le risposte ci sono piaciute così tanto che non abbiamo voluto modificare o alterare alcunché. Se si volesse approfondire la conoscenza di Franco Pupulin, vi invitiamo a leggere il libro di Gianfranco Pozzi: “Orchidee: Storie e Personaggi”, dove viene espressamente citato. Libro utilissimo al neofita e ai curiosi dell’orchidofilia italiana per l’appassionata descrizione di tutta una serie di persone che popolano, o hanno popolato, il mondo orchidofilo italiano. Buona lettura!

1) Buongiorno prof. Pupulin e grazie mille per avere concesso un’intervista alla nostra associazione. Difficile pensare a una prima domanda, considerata la molteplicità delle Sue attività; ragion per cui chiediamo: può fare una sintesi per i nostri lettori delle Sue attività, progetti e Enti di ricerca con cui è in collaborazione a beneficio dei nostri lettori?

Da ormai quindici anni collaboro con la Università di Costa Rica, dove svolgo la mia attività come Professore di Ricerca presso l’Orto Botanico Lankester. All’Orto Botanico dirigo le attività di ricerca e dirigo la nostra rivista scientifica, Lankesteriana, International Journal on Orchidology. I miei progetti di ricerca, che svolgo per lo più in collaborazione con colleghi del mio stesso Orto Botanico e con colleghi di altri centri di ricerca (per menzionarne alcuni, i Giardini Botanici di Kew, gli Erbari della Università di Harvard – con i quali sono associato in ricerca –, la Università della California, l’Orto Botanico di Monaco di Baviera, i Giardini Botanici Marie Selby di Sarasota, Florida, la Università di Leiden in Olanda, ecc.), sono principalmente focalizzati allo studio sistematico delle orchidee neotropicali, con un’enfasi particolare nella regione mesoamericana, nei sistemi di impollinazione, nello studio della variazione naturale e nelle implicazioni evolutive di questi processi.

Sto cercando (senza successo) di completare il trattamento della flora orchidacea della Costa Rica per la serie Flora Costaricensis (edita dal Field Museum of Natural History di Chicago), del quale ho pubblicato alcuni capitoli e sto completando i trattamenti delle sottotribù Stanhopeinae e Pleurothallidinae. Si tratta di un lavoro, ahimè (e per fortuna), quasi interminabile, per la quantità di novità tassonomiche che appaiono quasi giornalmente e per la necessità di correggere errori di interpretazione del passato che si sono cristallizzati nella letteratura scientifica. Mi occupo inoltre di un progetto di “distribuzione” della informazione tassonomica sulle orchidee, visitabile alla pagina web di Epidendra.org, che ha a mio avviso il merito di mettere a disposizione le fonti primarie di informazione, dopo averle opportunamente verificate. Epidendra non è privo di errori, ma considero che sia tra le pagine più credibili tra le tante disponibili in rete.

 

2) Veniamo al Pupulin orchidofilo: grazie all’instancabile attività divulgativa di Giancarlo Pozzi si dice che tutto ha avuto inizio a partire da un ibrido di Phalaenopsis bianca nella provincia lombarda… Ma poi cosa l’ha spianta a studiare queste piante e come c’è finito in Costa Rica?

Ricordo, quando ancora lavoravo a Milano (dove mi sono occupato di giornalismo e di comunicazione per un istituto di studi ambientali e per varie imprese di produzione), che i miei “capi” vedevano sempre nelle orchidee un grande nemico. Nemico del mio lavoro ufficiale, e nemico – dal loro punto di vista – della mia possibilità di diventare un grande professionista della comunicazione. Avevano ragione. Lo studio delle orchidee occupava tutto il mio tempo libero (poco), determinava i posti da visitare durante le vacanze, e influiva nel bene e nel male (soprattutto nel male) nella mia vita privata. Provate a convincere una famiglia a passare le vacanze vagabondando tra un erbario e l’altro…

Tra i posti che avevo visitato, dopo un freddo ragionamento statistico (quante specie di orchidee per kilometro quadrato), c’era la Costa Rica. 1500 specie di orchidee (allora, galoppando verso le 2000 oggi) in un paese grande come la Svizzera: il campione mondiale di diversità delle orchidee. Per come la vita a volte prende pieghe imprevedibili, nel 1997 ebbi la possibilità di intraprendere un “progetto lungo” e decisi che il progetto sarebbe stata una serie di libri illustrati sulla flora di orchidee più variata del pianeta. Nel settembre di quell’anno mi trasferii “temporalmente” in Costa Rica e iniziai a lavorare ai miei libri. Di libri, in realtà, ne uscii solo uno (eppure gli voglio molto bene, e secondo me è bellissimo), ma in compenso iniziai un’attività di collaborazione forte con amici dell’Orto Botanico Lankester, e un paio di anni più tardi l’Università decise di contrattarmi come specialista della materia. Sono ancora qui…

Nel frattempo ho avuto vari studenti, che sono certamente più bravi di me, tra i quali devo menzionare almeno Diego Bogarín e Adam Karremans, ormai entrambi dottori e straordinari colleghi, e in un modo o nell’altro ho messo in piedi una “scuola”. Non sarei io a doverlo dire, ma credo che oggi l’Orto Botanico Lankester sia riconosciuto a livello mondiale come uno dei maggiori centri di ricerca sulle orchidee. E’ un risultato del quale vado orgoglioso, più degli ormai 200 articoli scientifici, libri e capitoli di libri che ho pubblicato negli ultimi vent’anni.

 

3) Arrivando al Costa Rica: ci può parlare delle Sue attività presso il Jardín Botánico Lankester e della enorme collezione di orchidee che gestisce, o contribuisce a gestire? E, soprattutto a quanti esemplari ammonta?

L’Orto Botanico Lankester è un posto unico. Nato come il giardino privato di un naturalista inglese fanatico delle orchidee e collaboratore scientifico  di molti dei grandi nomi dell’orchidologia (Ames, Schlechter, Rolfe, tra gli altri), “caduto” tra le mani dell’Università di Costa Rica nel 1973 (che non se lo aspettava e ci ha messo otto anni a nominarne un primo direttore), con una direttrice/imperatrice che lo amministrato e governato per quasi vent’anni, è ufficialmente entrato nella scacchiera della scienza solo quando la nostra Università ha deciso di farne un centro di ricerca (invece di un bel negozio di fiori…), proprio una quindicina di anni fa. Nel frattempo, approfittando delle collezioni preesistenti (molte delle quali con pochi dati geografici), delle condizioni climatiche assolutamente favorevoli, e di un personale scientifico e orticolo realmente dedicato, abbiamo potuto organizzare quella che credo sia una delle collezioni documentate di orchidee più grandi del mondo.

Sottolineo la parola “documentate” perché questo fa una grande differenze per lo studio scientifico, rispetto a collezioni magari maggiori ma tremendamente carenti di dati utili per la scienza. Oggi, al Lankester, coltiviamo e documentiamo poco più di 30 mila esemplari di orchidee, che corrispondono all’incirca a 1300 specie. La maggior parte di queste piante sono identificate, fotografate, i loro fiori conservati in alcol o in erbario, e documentate con tecniche moderne di documentazione scientifica perle quali il nostro Orto Botanico è riconosciuto mondialmente.

 

4) Altra postilla sul Costa Rica e le sue orchidee: relativamente di recente ha pubblicato un’opera sulle orchidee costaricane intitolato Frágil belleza: Orquídeas nativas de Costa Rica. Ci potrebbe spiegare il perché della scelta di Frágil belleza invece di un più asettico Orquídeas nativas de Costa Rica?

L’opera in questione doveva essere composta di tre libroni, troppo grandi e troppo pesanti… La Università ne ha pubblicato uno (include le orchidee che vanno da Acianthera a Kegeliella), ma non lo ha distribuito bene, e questo ha fatto sì che gli altri due siano rimasti nel cassetto. Peccato, perché le recensioni di Vanishing Beauty / Frágil bellezza uscite sulle riviste scientifiche e di settore erano veramente favorevoli. Ma si sa, una Università non può forse, essere brava fare tutto. La nostra è stata molto brava a fare il libro (che è proprio bello, anche fisicamente), un po’ meno a venderlo…

Il titolo, Bellezza che svanisce / Bellezza fragile, voleva essere un monito. Le orchidee sono tra le piante con i fiori più belli che si possano immaginare (secondo me, la Cattleya dowiana dovrebbe competer in un concorso per “il fiore più bello del mondo”), e il Costa Rica è un posto baciato dagli dei (per chi vi crede) o dai fattori edafici, climatici, geologici e biologici (per chi si occupa di scienza) che la rendono un posto speciale, un hotspot per quanto riguarda la diversità di questa bellezza. Ma la bellezza biologica, la varietà degli esseri vivi, non è garantita: è una bellezza fragile, che ha bisogno di cura, di rispetto, di attenzione.

Dopo essere stato un paese tristemente all’avanguardia per la perdita della propria copertura boscosa, il Costa Rica è oggi un paese all’avanguardia per la conservazione dei suoi habitat naturali, con oltre il 20% del territorio protetto in un sistema modero di aree di conservazione, che mantiene la maggior parte degli ecosistemi esistenti nella regione. Ciò rende la bellezza delle orchidee meno “fragile”.

 

5) Torniamo all’aspetto più tecnicamente “formativo”: a parte una grande passione per la materia, che percorso di studi, o letture preparatorie, vorrebbe consigliare a chi voglia studiare le orchidee considerando la sempre maggiore specializzazione e multidisciplinarità di questo campo di studi?

C’è, in generale, nella botanica come nella maggior parte delle scienze, una forte tendenza alla iper-specializzazione. C’è, inoltre, un persistente interesse della scienza “di punta” per le tecniche di analisi più sofisticate, spesso tecniche di laboratorio che richiedono ingenti investimenti economici per l’acquisizione delle attrezzature analitiche.

Ogni tanto ho l’impressione che l’ebbrezza tecnico-tecnologica faccia un po’ perdere di vista le priorità della scienza, almeno dal mio punto di vista. Viviamo in un mondo che si è mantenuto così com’è grazie, spesso, a meccanismi di interazione tra gli esseri viventi, e tra questi e il loro ambiente, del quale continuiamo a sapere assai poco. Per saperne di più, mi pare che continui ad essere essenziale “sapere di che cosa stavamo parlando”. Ogni volta che qui scopriamo un nuovo sistema di impollinazione ha a che fare con una specie di insetto che non ha nome, che a volte interagisce con un’orchidea che non ha nome, e che a volte coinvolge altri organismi, anch’essi senza un nome valido per la scienza. Il catalogo della vita sulla Terra è molto lontano dall’essere completato.

A chi voglia avvicinarsi allo studio scientifico delle orchidee consiglierei oggi di apprendere al meglio le tecniche di analisi che fanno della scienza una materia di risultati oggettivi, ma allo stesso tempo consiglieri di passare molto tempo “al campo”, alle prese con gli organismi reali, nei loro ambienti, nelle loro strane e a volte improbabili relazioni.

Intervista

Come si è verificato il tuo primo incontro con le orchidee? Come ti sei appassionato? Da quanti anni?

E’ una storia comune, che definirei “amore a prima vista”. Fino all’età di circa 20 o 21 anni (non ricordo bene) non mi ero mai interessato di un fiore. Papà è sempre stato un grande appassionato di giardinaggio, e come succede a volte i figli finiscono per non volere le stesse cose dei padri. Poi, un giorno, alla ricerca di un fiore di regalare, finii nel garden center che il signor Cimasoni aveva nel parco di Villa Cicogna-Mozzoni a Bisuschio. Questo è esattamente quello che chiesi a una delle commesse, “un fiore da regalare”. Sarete d’accordo che fu una richiesta veramente stupida, in un centro di giardinaggio dove avevano centinaia di specie e varietà di “fiori”. Quando la signorina mi chiese di essere più preciso, l’unica parola che mi venne in mente associata a un fiore fu un’orchidea. Fui inviato a cercare il mio “fiore” in alcune piccole serrette di metallo e vetro che furono del vecchio conte Cicogna (che, come seppi molto più tardi, fu un pioniere nella coltivazione delle orchidee). Quando aprii la porta delle serre delle Phalaenopsis, rimasi fulminato come Paolo sulla via di Damasco. Si trattava delle tipiche Phalaenopsis ibride, bianche, con fiori a forma di farfalla, leggiadre e ipnotiche. Recidere un simile spettacolo di fiori danzanti nell’aria umida della serra tropicale mi sembrò un delitto e finii per acquistare una pianta, con tre o quattro fiori aperti e quattro o cinque boccioli già quasi maturi. A casa, pensai di attendere che si aprisse un altro bocciolo, poi un altro e un altro ancora, e finii per non regalare la pianta: fu la mia prima Phalaenopsis. Dopo qualche mese, avevo una decina di piante, i miei primi libri sulle orchidee e i miei primi amici di orchidee. Se penso a dove vivo oggi, nei tropici umidi della Costa Rica, come vivo oggi (cercando orchidee, descrivendo orchidee, disegnando orchidee) e che cosa faccio oggi (lavorando come ricercatore in un giardino botanico), posso dire senz’ombra di dubbio che le orchidee mi cambiarono la vita.

Quante piante hai?

L’inventario delle piante (che in realtà non sono mie, ma sono quelle con le quali lavoro) dice che sono 26617, o almeno questo è l’ultimo numero che ho scritto su un cartellino. Da questa cifra bisogna togliere qualche migliaio di piante che tecnicamente chiamiamo “egressate” (cioè, “uscite”, il contrario di “ingressate, entrate”), ma che per essere sinceri sono semplicemente “morte”, qualcuna finita pressata in un erbario. Però la parola “morte” non piace a nessuno, e dà l’impressione di un’ecatombe, e il neologismo suona più raffinato… Beh, gli inventari servono anche a questo, a sapere quante delle nostre orchidee muoiono, e a volte anche a rendersi conto di quali muoiono di più per poter rimediare. In generale, nelle collezioni – e la nostra non è un’eccezione – le piante morte si ignorano e semplicemente si “rimpiazzano”: nessuno se ne accorge, e la serra (o l’orchidario”) si vedono sempre pieni e rigogliosi. Nascondere i propri insuccessi, anche quando in realtà non è colpa di nessuno, è molto umano, ma siccome la nostra è una collezione “scientifica” non possiamo ignorare i dati. In base alle mie esperienze personali (un tempo fui un coltivatore in casa) e a quelle dell’orto botanico dove lavoro, mi azzardo a dire che in una collezione normale di orchidee il turn over (cioè il bilancio tra le piante che entrano e quelle che “escono”) deve essere di circa il 70 per cento in un arco di dieci anni. É facile fare la prova. Prendiamo dieci piante a caso e chiediamoci: quali di queste era già qui dieci anni fa? Tre? Quattro? E le altre? “Egressate”!

 

Quali piante costituiscono il cuore della tua collezione?

In questo momento, specie del gruppo Pleurothallidinae, quello sul quale stiamo lavorando più intensamente per completare il progetto di illustrazione e descrizione di tutte le orchidee della Costa Rica. Ma nella collezione sono rappresentati tutti i maggiori gruppi di orchidee, compresi quelli con piante terrestri, in maggioranza della regione centro-americana, ma con molte specie provenienti anche dalle Ande e dalla zona atlantica del Brasile. Per colpa mia, perché mi piacciono e perché le ho studiate a lungo, abbiamo un sacco di orchidee Zygopetalinae (le Pescatoria, Kefersteinia, Chondrorhyncha e generi affini, Stenia, le bellissime Warscewiczella, le Dichaea, ecc.), che sono piuttosto difficili da coltivare. Abbiamo una decente collezione di Cattleya (nel senso stretto della parola, specie e ibridi) e di Lycaste centro-americane, tonnellate di Maxillaria & Company (Camaridium, Maxillariella, Ornithidium), un rigoglioso gruppo di Phragmipedium, e una collezione di Stanhopeinae che potrebbe essere migliore sia in termini di diversità sia di coltivazione, ma ci è molto utile per i nostri studi.

 

Attualmente quali preferisci? (Genere, miniature, profumate, provenienza ecc.)

Credo, per molto tempo, di avere avuto preferenza per questa o quella orchidea. Tra i miei più accesi amori ci sono state le specie di Phalaenopsis, le angrecoidi del Madagascar, altre piccole Areidinae del’Asia (come le Sedirea), poi le Oncidiinae e più tardi le Zygopetalinae, sulle quali ho scritto forse più che su qualsiasi altro gruppo. Oggi mi dedico soprattutto alle Pleurothallidinae, che in Costa Rica sono un gruppo numeroso e difficile, al genere Trichopilia (del quale vorrei preparare una monografia) e poi a tutte le orchidee (senza preferenza alcuna) che vivono nelle aree protette che studiamo per lavoro. Arrivato a cinquant’anni, mi sembrano tutte magiche. Però a casa, in memoria del primo amore, ho solo quattro piante di Phalaenopsis (due P. violacea, una P. mariae e una P. hieroglyphica).

Come coltivi? (Casa, serra, orchidario)

Ho la grande fortuna di avere un piccolo staff di persone, molto dedicate, che coltivano le “mie” orchidee in quattro grandi serre. Vedo che si tratta di un lavoro arduo e difficile, per riprodurre in qualche modo ambienti tanto differenti come le zone tropicali calde della costa, le zone umide e temperate e le zone fredde e ventose delle regioni montane. Stando in un paese come l’Italia si ha spesso una visione del tropico come “una” cosa. E’ un’impressione veramente sbagliata. Nella piccola Costa Rica (poco più grande della Svizzera) abbiamo 16 zone di vita diverse, ognuno con le sue orchidee speciali. Il vantaggio di vivere qui è quello di vederle crescere nei loro ambienti: è la miglior scuola di coltivazione possibile!

 

E i tuoi sogni nel cassetto?

Terminare di mettere in linea, in www.epidendra.org, tutti i circa 50 mila nomi di orchidee, con tutta l’informazione sulle loro origini; per ora siamo a quota 6 mila e il cammino é ancora lungo. Mi piacerebbe anche terminare di pubblicare tutta la famiglia Orchidaceae per la Flora Costaricensis, con tutte le specie illustrate, ma è un compito arduo. Dieci anni fa pubblicai un catalogo con tutte le specie della Costa Rica, ed erano 1360, e oggi, dieci anni dopo, sono già 1600: non finiremo mai… Ma, come ben dice Alessandro Wagner (la citazione la devo a Giancarlo), “finché ci sono orchidee c’è speranza”. E, nel mio caso, c’è anche lavoro.