Osvaldo Rozzo

Come si è verificato il tuo primo incontro con le orchidee? Come ti sei appassionato?

Non ho un ricordo ben preciso legato alla nascita della mia passione per le orchidee o comunque non ricordo l’esatto momento in cui ho iniziato a essere legato a questa grande famiglia. La passione per le piante ha sempre fatto parte di me; ne ho avuto conferma di recente, esattamente lo scorso anno, quando mio nipote ha iniziato a frequentare la scuola d’infanzia, la stessa che frequentai io. L’attuale direttrice, che è una delle mie ex maestre, dopo aver notato che mio nipote ha il mio stesso cognome, che è poco comune nella nostra zona, si è resa conto della parentela e nonostante gli oltre 25 anni trascorsi, si è distintamente ricordata di me e della mia passione per i fiori. Inoltre, un elemento sicuramente determinante, è stato l’esempio, involontario, ricevuto da un caro amico di famiglia abile orticultore che possiede e coltiva con maestria un immenso giardino ricco di piante rare e tropicali. Infine, non ultima per importanza, mia madre è sempre stata una donna dall’animo gentile e amante delle piante.

Da quanti anni?

Ho iniziato a coltivare in maniera coscienziosa non oltre 6 anni fa. Mi hanno sempre affascinato gli interessi “multidisciplinari”: per anni sono stato un acquariofilo marino e, proprio come nell’acquariofilia marina ci sono mille variabili con cui confrontarsi per mantenere in equilibrio un sistema che mima un ben più complesso ecosistema, anche nella coltivazione delle orchidee gli stimoli sono molteplici e di diversa natura.
Quante piante hai?

Sinceramente non ho un’idea precisa, ma sono certo che siano in molti a superarmi in numero di esemplari. Ho sempre preferito la qualità alla quantità e, per quanto possibile per le mie capacità, preferisco conoscere bene un argomento, magari ristretto, rispetto al sapere un po’ di “tutto”. Cosa che peraltro credo inverosimile per una famiglia composta da 28.000 specie circa. Alcuni colleghi coltivatori, in passato, mi hanno detto che possiedo “doppioni”, come se le orchidee, tra le piante più interessanti al mondo sotto diversi aspetti, fossero misere figurine.

Quali piante costituiscono il cuore della tua collezione? Attualmente quali preferisci? (genere, miniature, profumate, provenienza ecc.)

Possiedo quasi tutte le specie di Paphiopedilum appartenenti alla sezione Polyantha, i multifloreali per intenderci, e tra questi diverse linee clonali di Paph. rothschildianum e tutte le varietà di Paph. kolopakingii. Ho diversi Phragmipedium, quasi tutti a pensarci bene, tra cui alcune piante di interesse storico, come per esempio una divisione del primo e unico esemplare di Phrag.
besseae forma flavum ritrovato in natura alla fine degli anni Novanta.

Preferisco principalmente i Paphiopedilum multifloreali e i Phragmipedium. Sono visceralmente innamorato dei Paph. kolopakingii per via del loro habitus, le foglie molto larghe e l’eccezionale vigore. Generalmente preferisco le piante di grandi dimensioni. Sono anche molto legato ai Paph. rothschildianum che ormai fioriscono con cadenza annuale. Lo scorso anno mi è stato dedicato un ibrido complesso di Phragmipedium a cui sono affezionato e sono inoltre grato all’ibridatore tedesco che lo ha creato; tutt’oggi non sono fioriti altri esemplari oltre a quello in mio possesso. Oltre alle Cypripedioideae, ultimamente apprezzo particolarmente le Phalaenopsis gigantea: è difficile riuscire a collezionare le forme geografiche esistenti, ma con il tempo riuscirò a recuperarle.
Come coltivi? (casa, serra, orchidario)

Dato che vivo in Centro Italia, durante i mesi più freddi coltivo la maggior parte delle orchidee all’interno, in una sala in cui c’è una porta-finestra molto grande esposta a sud-est. In estate sposto alcune piante in una terrazza sul retro. Per proteggere le piante dai raggi diretti del sole ho fissato dei teli ombreggianti e installato un impianto di nebulizzazione collegato a un serbatoio per rendere il tutto autonomo grazie ad alcune prese programmabili che attraverso internet posso gestire in remoto. Ho anche alcuni esemplari all’esterno tutto l’anno in Puglia. In passato ho anche coltivato in grow box.

Usi l’illuminazione artificiale?Se sì, di chetipo? Ne sei soddisfatto?

Ho usato tutti i sistemi d’illuminazione artificiale esistenti per prolungare il fotoperiodo, escludendo le lampade al plasma per un fattore puramente economico. Per quanto riguarda i LED ho ottenuto i risultati migliori con una lampada professionale, fin troppo potente per le orchidee che coltivo, ma anche i tubi a LED “simil-t8” danno risultati sufficienti. Le barre a LED sono decisamente più performanti dei tubi a led, perché di solito hanno una dissipazione del calore più efficiente e LED di qualità maggiore.

Nell’illuminazione artificiale è necessario riuscire a misurare il cono di luce emesso dalla fonte luminosa e considerare i lux (che sono lumen per metro quadro) più che i soli lumen normalmente indicati sulle lampade. Niente di impossibile acquistando un luxmetro per pochi euro. Sono comunque convinto che il miglior rapporto costo/prestazioni sia dato tuttora dalle lampade agli ioduri metallici (MH), accoppiate a un accenditore elettronico e un riflettore ad “ala”. Solitamente gli appassionati trovano soluzioni a volte geniali per risolvere i vari problemi di coltivazione casalinga. Hai qualche idea da segnalare? Da non molto coltivo dei Phragmipedium vittatum, una tra le prime specie del genere a essere scoperta ed endemica del Brasile. Il Phrag. vittatum è famoso per avere una vita breve in coltivazione, perché è estremamente sensibile ai fertilizzanti chimici: i risultati più soddisfacenti sono stati ottenuti utilizzando i fertilizzanti di natura organica in dosi modeste. Conscio di queste caratteristiche, innaffio i miei Phrag. vittatum con l’acqua di scarto della vasca in cui allevo un Chelus fimbriatus, una tartaruga diffusa in quasi tutto il Sud America, dove vive in acque dolci e ricche di tannini. L’acqua di scarto ha un valore di conducibilità elettrica di poco superiore ai 100 μS, ricca di nitrati, fosfati e tannini. I Phrag. vittatum sembrano gradire.

Quali errori?

Essendo, principalmente, coltivatore di Cypripedioideae le esperienze negative sono spesso associate al Pythium e all’Erwinia, rispettivamente il fungo e il batterio nemici per eccellenza di questa sottofamiglia. Ricordo che al ritorno da una vacanza ritrovai una vegetazione di Phrag. kovachii totalmente marcia e maleodorante, non esattamente il migliore dei rientri.

E i tuoi sogni nel cassetto?

Alcuni li sto realizzando: mi piace l’idea di regalare un “pizzico” di eternità alle persone a me care, dedicando loro un nuovo ibrido. Basti pensare che, per esempio, il Phragmipedium Sedenii si chiama così in onore di John Seden, ibridatore presso la nursery di Veitch, in Inghilterra, nel 1873. Uno degli ibridi che ho nel cassetto è attualmente in laboratorio e, se sarò fortunato, potrò dedicarlo a mia madre. Ne ho realizzati altri due con lo stesso intento.

La coltivazione e quindi la passione per le orchidee ha influito sul rapporto con te stesso e con chi ti sta vicino, Se sì in che modo?

Alcune vacanze, e i relativi partecipanti, sono state da me dirottate in paesi in cui sono presenti rinomate nursery o importanti giardini botanici. Ho anche frequentato un corso in Colture in vitro presso l’Università degli Studi di Perugia, dipartimento di Scienze agrarie e ambientali, per imparare tali tecniche di propagazione che necessitano di competenze specifiche e avanzate.

Com’è nata l’idea di scrivere un libro?

Come credo che accada spesso, l’idea è scaturita per caso. Ho avuto l’opportunità di seguire una conferenza del brillante dottor Henry Oakley, noto psichiatra nonché botanico inglese. Nonostante il dottor Oakley sia famoso per l’accurato lavoro svolto con la sottotribù delle Lycastinae, si è anche occupato, insieme al professor Guido J. Braem, di realizzare Paphiopedilum SpeciesThe Essential Guide, un libro fotografico che raccoglie le specie che compongono il genere Paphiopedilum.
Già da qualche tempo ero in contatto con Braem, con cui ho sempre avuto un ottimo rapporto e che sapevo essere in procinto di completare il suo ultimo libro, The Genus Phragmipedium, pubblicato verso la fine del 2018. Data la totale assenza di letteratura riguardante i Phragmipedium in lingua italiana e il materiale a disposizione, memore della collaborazione tra Oakley e Braem, ho pensato di proporre a Guido una collaborazione che lui ha accettato. Ho iniziato a scrivere il giorno del mio trentesimo compleanno. Inoltre, l’idea del libro è maturata anche per soddisfare alcune curiosità degli appassionati italiani, divulgare informazioni inerenti alla scoperta di alcune specie o far conoscere gli aspetti orticolturali più specifici, che fanno ormai parte della conoscenza dei coltivatori internazionali o sono comunque appannaggio solo di chi conosce la lingua inglese. Infatti, per un motivo o per un altro alcuni coltivatori italiani non hanno occasione di viaggiare e di conseguenza sono tagliati fuori dall’opportunità di conoscere queste informazioni. Il mio libro verterà sulla coltivazione dei Phragmipedium e su alcuni aspetti scientifici; ci sarà una semplificazione della tassonomia e varie informazioni inerenti le “scarpette del nuovo mondo”. Sono già nettamente in ritardo per la pubblicazione, ma purtroppo o per fortuna, ho atteso che venisse pubblicata la descrizione di una nuova specie peruviana per evitare che il testo diventasse obsoleto o incompleto pochi mesi dopo la pubblicazione. Il problema, allo stato attuale, si è riproposto in quanto esiste almeno un’altra specie, affine al caudatum complex, in attesa di essere descritta.

Ne scriverai altri? Prossimi progetti?

Questo primo libro tratta le specie e gli ibridi naturali del genere Phragmipedium e rappresenta il mio primo passo come autore; se dovesse essere gradito ai lettori, mi piacerebbe tornare a parlare di Phragmipedium, con un libro sugli ibridi fatti dall’uomo e sugli effetti delle specie principali in ibridazione. Vorrei anche realizzare un libro fotografico aggiornato sulle varie specie di Paphiopedilum, in quanto negli ultimissimi anni sono state scoperte diverse specie. In futuro, quando avrò più dimestichezza con i vari generi, mi piacerebbe scrivere qualcosa sulle Catasetinae.
Foto: Osvaldo Rozzo e Giulia Cò Testo: Osvaldo Rozzo.